NO FRILL, JUST TRUTH

DIDO FONTANA è un artista che ha trasformato la fotografia in un potente strumento a servizio della libertà. I suoi scatti, irriverenti e sensuali, interpretano le molteplici realtà che ci circondano in modo schietto e genuino.




Chiacchierare con Dido Fontana è un po’ come essere travolti da un flusso di parole schiette e vivaci che ti scaraventano in un mondo eccentrico e carnale, fatto di esuberanza, ironia e tanta spontaneità. Vale lo stesso quando ci si sofferma a osservare i suoi scatti, una serie di foto provocatorie che librano tra sacro e profano, in cui singoli soggetti sono spesso ritratti in situazioni grottesche, beffarde o voluttuose. Esposta in parecchie gallerie d’arte contemporanea e pubblicata su vari magazine e webzine, la fotografia di Dido si distingue per il sottile voyeurismo, diretto e onesto, che mira a rappresentare la reale essenza delle cose. Raccontare sempre e comunque la verità, soprattutto quella nuda e cruda, non è una missione, ma una naturale attitudine che il fotografo esprime utilizzando gli apparecchi più tradizionali, come la pellicola 35mm o la polaroid: strumenti che hanno poco a che fare con le ultime tecnologie e che proprio per questo risultano più adatti a cogliere l’immediatezza della realtà. Da questo deriva una leggera e piacevole atmosfera retrò che percorre ogni immagine, che essa tratti di moda, pubblicità o fotografia creatività.











Che tipo di educazione hai ricevuto?
Un’educazione normale. Ho sempre cercato di divertirmi e continuo a farlo il più possibile, anche se non sempre si può. Per il resto ho frequentato una scuola superiore tecnica e poi l’università ma l’ho abbandonata presto. Ho gestito delle palestre mentre portavo avanti i miei progetti da fotografo, che alla fine hanno preso il sopravvento diventando il mio lavoro.

Cosa ti ha avvicinato alla fotografia?
Non credo di aver avuto molto scelta. Mio padre è un fotografo: il bianconero, la camera oscura, lo studio delle luci, l’attesa dello sviluppo erano il mio pane quotidiano. Avevo 7-8 anni e mi divertivo a far comparire le foto nelle vaschette; giocavo con Hasselblad, Nikon e Leica. Non mi interessava molto ai tempi, ma deve sicuramente aver influito sulle mie scelte.

Ricordi il primo scatto?
Sinceramente no!

Le tue foto sono abbastanza irriverenti e alcune potrebbero risultare blasfeme. Credi che le persone possano esserne infastidite?
Non penso d’esser blasfemo. Sono cattolico, poco praticante ma credente. I miei genitori collezionano oggetti d’antiquariato, sono cresciuto in una sorta di casa/museo con parecchi crocifissi antichi e icone religiose. Però a dieci anni sfogliavo libri di fotografi provocatori e visionari come Robert Mapplethorpe e Helmut Newton. Non ho fatto altro che mischiare il mondo sacro che mi circondava con l’immaginario artistico erotico che tanto amavo. Non voglio stimolare nessuna provocazione, il fastidio lo può provare chi non conosce la realtà della rappresentazione sacra cattolica fatta di carne, sangue e spiritualità. Più sensuale di così…Il corpo è importante quanto lo spirito nella tradizione cristiana.

Come reagisci alle critiche negative?
Non reagisco. Ognuno ha la propria testa. Durante le mostre sento dire dalle signore di mezza età “Non è il mio genere” e ringrazio il cielo. Contemporary decadent, gonzo, antifashion, grezzo.

Sei stato definito in tanti modi. In quale ti riconosci di più e quale invece ti disturba?
Non mi disturba nessuna di queste definizioni. Mi piace molto essere considerato decadente e antifashion. Con la moda ho un approccio ironico, cerco soprattutto di smitizzare il valore degli accessori griffati inserendoli in contesti bizzarri e grotteschi. Anche gonzo è un termine che mi si addice parecchio, non nell’accezione che intendono in Italia dove suona più come tonto o lento, mentre vuol dire che un artista cerca di coinvolgere al massimo lo spettatore finale per rendere tutto più reale, partecipando spesso alla propria opera in modo attivo.

Secondo quale criterio scegli i tuoi soggetti? Cosa cerchi in loro?
Sono interessato alle persone normali. Alcuni mentre scatto diventano quasi pazzi e si comportano come non farebbero mai, altri restano bloccati, è affascinante osservarli. Fotografo le donne e gli uomini che mi colpiscono in qualche modo. Se mi piacciono cerco di scattarli in più occasioni. Osservo corpi e facce ovunque: al bar, in giro, nei locali. Non faccio fatica a trovare soggetti stimolanti, ognuno di noi ha caratteristiche singolari e per questo interessanti. In generale dove trovi le fonti d’ispirazione? Non ci credo alle ispirazioni. Bisogna fare tanto: provare, scattare, muoversi, cercare, collaborare. Soltanto così capita di realizzare qualcosa di ben riuscito davvero.

E per quanto riguarda la tua attrezzatura fotografica?
In genere uso la pellicola in formato 35mm o la Polaroid, ultimamente scatto anche in digitale che riesco a far funzionare male come una compatta di terz’ordine. Non amo gli strumenti fotografici troppo tecnologici. Sono mode! Voglio che i miei scatti diano l’esatta impressione di ciò che hanno visto i miei occhi. 

Com’è nata l’idea di pubblicare un libro? Ci racconti qualcosa del progetto? Quando è uscito? Dove si può trovare?
È un libro autoprodotto. Si può trovare su blurb.com, digitando il mio nome. Racchiude circa due anni di lavoro in giro per il mondo. Sono 160 pagine di carta patinata, ogni immagine della pagina sinistra è legata a quella della pagina destra secondo piccoli dettagli, che non sempre è facile decifrare.

A cosa stai lavorando adesso?
Ho appena chiuso una personale a Piacenza presso Biffi Arte. Sono molto soddisfatto per come è andata, ho davvero apprezzato il lavoro svolto dal curatore Roberto Dassoni. Tra poco ci sarà un’altra expo a Trento e una a Stoccolma dove dovrei esporre assieme allo studio fotografico svedese Knotan. Intanto sto concludendo una raccolta di scatti “santi” che verranno pubblicati a breve.

Che colore ha il mondo di oggi visto attraverso il tuo obiettivo?
Molto colorato con predominanza di toni blu.